venerdì 14 novembre 2014

Ti ho rivista l'altra notte...

...Ogni sera non vedeva l'ora di andare a dormire e non perché fosse stanco o assonnato, ma per piacere (o masochismo, dipende dai punti di vista). Quello era il momento migliore della sua giornata: più questa era stata faticosa e pesante, più si sentiva soddisfatto e contento, perché sapeva che avrebbe dormito più profondamente. Così il momento in cui spegneva la luce, diventava il momento della pace, la pace con se stesso. Addormentandosi abbandonava le vicissitudini della vita reale per addentrarsi nel suo vero mondo: quello dei sogni. Forse quello era l'unico mondo che più gli calzava, quello nel quale si sentiva a suo agio, protetto e sicuro. Lì, era sempre solito girare posti nuovi, creare posti nuovi. Non sapeva mai dove  potesse trovarsi e ciò gli piaceva. Spesso vedeva gente che non riconosceva, ogni tanto beccava qualche amico, parente, conoscente, rivedeva persone che non c'erano più, ci scambiava quattro chiacchiere, parlava del più e del meno, soprattutto ascoltava quello che dicevano. Come spesso accade nei sogni,  non sapeva mai come arrivava in certi posti, il viaggio non era una variabile contemplata e il tempo era un optional e ogni legge fisica completamente stravolta. Ma c'era un luogo ricorrente, in cui si trovava catapultato spesso: la sua splendida isola deserta. Non riusciva mai a capire, perché un'isola deserta, né tanto meno perché ci si trovasse sempre di notte. Era il suo nascondiglio. Le sue lunghe passeggiate silenziose sul bagnasciuga, con il mare che gli bagnava appena appena i piedi. Una grande luna che sembrava poggiarsi su quello specchio d'acqua, come un piatto su una mensola. Il verso di qualche gabbiano che si sovrapponeva al rumore delle onde. Ed era lì, ancora una volta, a passo incerto con le mani nelle tasche dei pantaloni, dei jeans tirati su a pinocchietto sopra i piedi per non bagnarli, la camicia di seta bianca fuori dai pantaloni, la testa bassa. Quella sera non si sentiva a suo agio lì, era un po' agitato e non capiva perché. In qualche modo sentiva che la quiete di quel posto era stata violata, ma non riusciva a spiegarselo bene. Ad un tratto, alzando la testa, vide un'ombra in lontananza. Per un attimo rallentò, ma riprese subito il suo cammino con passo più deciso, andando incontro alla figura che da lontano sembrava proseguire nella sua direzione. No disse nulla, le mani sempre in tasca. Mentre si avvicinava un turbinio di sensazioni diverse iniziava ad avvolgerlo, l'agitazione aumentava. Quanto più quell'ombra si avvicinava, tanto più riusciva a scorgerne le sembianze. D'un tratto arrestò il passo e si tolse le mani dalle tasche. La figura che aveva d'avanti continuava ad avvicinarsi senza esitare; la luce, il riflesso della luna, pian piano iniziarono a svelarne le sembianze. Lui rimase pietrificato, capi immediatamente di chi si trattava, ma rimase immobile. L'aria di chi si chiede "cosa accadrà ora?". D'un tratto anche l'altra figura si arrestò e rimase immobile. Lui iniziò a sentire un po' di freddo, non si era accorto che si era sollevata una leggera brezza. Era sicuro di due cose in quel momento. Quella d'avanti a se era una donna e la riconobbe immediatamente, ma non osò parlare, non ce la faceva. Continuava a ripetere fra se e se: "cosa le dico?", "Cosa ci fa lei qui?", "E ora?", "Coraggio, dille qualcosa!", "Cosa devo fare ora?", "No aspetto che sia lei a parlare per prima"... Iniziò a sudare, le gambe paralizzate. Non capiva se quella fosse una situazione positiva o negativa. In poche parole, si sentiva un ebete. Ad un tratto lei interruppe quel silenzio imbarazzante.
"Guarda che non ti mordo" disse. Una voce dolce e calda. Sentì un sussulto al cuore, un nodo in gola. Non riusciva a spiegarsi perché mai si sentisse in quel modo, inerme, incapace di reagire. Lei, che pure aveva le mani in tasca, riprese ad andargli incontro. Anche il suo volto iniziò a rivelarsi, finché lei non arrivò a circa un metro da lui. La situazione andava peggiorando col passare dei secondi, anche il respirò era diventato un problema. Il corpo sembrava non rispondere; abbassò lentamente la testa, quasi a capire se avesse ancora sensibilità nelle mani, quanto meno per muovere le dita. Il nodo in gola sempre più grande. Ormai non riusciva neanche più a rivolgersi a se stesso, neanche una domanda, si sentiva improvvisamente vuoto. Se non fosse stato per l'iniziativa di lei, sarebbe stato capace di rimanere immobile ancora per un bel po'. Ma lei fece altri due brevi passi finché non gli si avvicinò fin sotto la testa. Sollevò una mano verso il viso di lui e lo accarezzò. Un brivido lo percorse dalla testa ai piedi e dai piedi di nuovo alla testa. Improvvisamente riprese il comando del suo corpo e portò la sua mano su quella di lei che gli carezzava il viso. Capì che il motivo per cui era rimasto pietrificato prima, era la paura che tutta quella situazione non fosse reale. Iniziò a riacquistare sicurezza con il passare di quegli attimi interminabili. Così strinse forte la mano che lo accarezzava e una sensazione di sollievo iniziò a scaldarlo.
"Cos'hai amore?" - gli disse lei - "Sono io, sta tranquillo, non ti faccio nulla".
"Tu non puoi capire..." - rispose lui. "
"Lo capisco invece, ma ora devi stare tranquillo" - ribatté lei, con la voce che piano piano si fece più incerta.
Lui alzò la testa cercando immediatamente di incrociare il suo sguardo. Se c'era una cosa di lei che non riusciva a dimenticare, erano i suoi grandi occhi neri da cerbiatto. Da quegli occhi iniziò a farsi strada una lacrimuccia. Immediatamente lui la avvolse tra le sua braccia. Lei poggiò la sua testa sul petto di lui e iniziò a piangere: "Mi sei mancato da morire amore, ti prego, stringimi, non mi lasciare".
"Tranquilla tesoro, non lo farò". E poggiò delicatamente la sua testa contro quella di lei.
Fu un abbraccio intenso. Lui cercava di assaporare quel momento fino in fondo, la paura che quell'insieme infinito di attimi non si rivelasse alla fine come un istante effimero che lo buttasse di nuovo nell'abisso da cui veniva. D'un tratto si sentì vuoto dentro, ma in modo diverso da come si era sentito prima, d'un tratto si trovò coricato sul letto abbracciato al cuscino. I pochi istanti dopo il risveglio, furono una sofferenza incredibile. Immobile, paralizzato dalla fase post rem che gli impediva i primi movimenti da sveglio. La mente lucida, così come gli occhi. Il cuscino umido dov'era poggiata la guancia. Le mani in faccia non appena ripreso il controllo, solo che ora era sveglio.
Ho paura ad aprire la luce, meglio restare al buio, non voglio vedere cosa mi circonda, sono rimasto su quell'isola, io è lì che voglio tornare.

"La notte ci piace perché, come il ricordo, sopprime i particolari oziosi." (Jorge Luis Borges)