domenica 19 maggio 2019

Inconcludente


Ho capito che personalità deve avere questo mio blog: la mia!
E visto che più vado avanti e più ho difficoltà a parlare ad aprirmi, a liberarmi, userò questo spazio come sfogo. Forse un giorno l'Erebo di Ajace potrà essere faro sulla parte più nascosta di me, quella che nessuno vede, che nessuno conosce. Sono tornato dall'Australia con qualche pezzo in meno. Ne ho lasciati ovunque e in più posti durante la mia vita, ma dopo la mia esperienza down under sono tornato diverso. Ero partito per ritrovare me stesso, per rimettermi alla prova, per uscire dalla confort one che mi ero ormai creato. Ho passato 4 mesi fantastici a Sydney. Dovevano essere due anni. Invece ho resistito solo 4 mesi. Troppo difficile sperare di farsi una vita lì, soprattutto se hai sorpassato i 31 anni. E sono tornato. Stesso lavoro di prima, stessa città di prima, stessi colleghi di prima.
Tornato migliore? Forse si.
Rimpianti? Tantissimi.
Rimorsi? Tantissimi anche quelli.
Dopo anni di esitazione, di lavoro da formica a mettere da parte i soldi senza tuttavia risparmandomi di vivere, ho mollato tutto e sono partito.
La verità è che non ce la facevo più, mi sentivo uscire pazzo. Avevo bisogno di aria nuova, più 'sana'. Avevo bisogno di realizzare qualche sogno, andare in Australia, vedere il Sydney Opera House, il Sydney Harbour Bridge, la famosa spiaggia di Bondy Beach...E l'ho fatto. Ho vissuto un sogno. Ogni volta che andavo in quei posti che da piccolo avevo sempre e solo visto in televisione, mi sentivo come se stessi in un sogno. Mi è capitato di piangere qualche volta, di sera, a vedere l'Opera House illuminato, sempre di colori e temi diversi e cangianti. Ho realizzato un sogno. Ma è finito presto. Ho fatto giusto in tempo a viaggiarmela da Sydney a Cairns in autobus. Ho conosciuto gente fantastica e visto posti meravigliosi. Se ci ripenso adesso mi si spezza il fiato in gola dalla paura di perdere quei ricordi, quelle immagini così vivide che mi sono rimaste impresse: Le spiagge incontaminate di Fraser Island, la gita in barca sulle isole di Withsundays e il lungomare di Airlie Beach.
Sono tornato cambiato, nell'anima, profondamente. Nel tornare in Italia, nel tornare alla mia vecchia vita, ho lasciato lì, in Australia, quel che restava del mio cuore. Le speranze, i sogni, la voglia di lottare, la voglia di riscatto, la voglia di ritrovare me stesso. Mentre salivo sulla scaletta dell'aereo a Melbourne, mi sono sentito venire meno. Come se quel che restava di me, mi stesse dicendo: 'tornaci da solo a quella vita di merda!!!'
Ho pianto al decollo, ho pianto durante il viaggio, in un aereo non tanto pieno, al buio della notte di non so quale cielo e non so quale nazione. Era partito per l'Australia come un disperato. E me ne sono tornato a casa come un perdente. Mi è mancata la forza, mi sono mancato io stesso.
La seconda notte in barca in una delle tante baie di Withsundays - credo fossero le 2 di notte - mi sono alzato e sono andato verso la poppa della barbca. Era una barca a forma di catamarano, non ne capisco granché di barche. Sta di fatto che mi sono seduto sull'estremità destra della lancia del catamarano, coi piedi a penzoloni sull'acqua. Le luci notturne della chiglia della barca illminavano il fondale marino. Non eravamo lontanissimi dalla barriera corallina. Il tripudio di vita dell'oceano notturno mi ha letteralmente rapito. E poi il silenzio, il rumore dell'oceano calmo che dondolava la barca, la brezza leggera, la luna, il cielo stellato. Ho chiuso gli occhi e ho respirato lentamente per non so quante volte. Mi sono sentito leggero. Lo spirito, l'anima, la vita, la felicità. Già, la felicità. Sensazione strana, fugace e difficile da 'ricordare'. Non so quanto tempo è durata quella sensazione, ma ero andato lì perché non riuscivo a dormire, perché ero troppo agitato e mi sono calmato. Le sensazioni negative hanno lasciato spazio a quelle negative. Dopo tanto tempo ho provato una sensazione di relax, di quiete interiore, di pace. Poi è arrivata l'alba, me la sono goduta. E' stata meravigliosa. Non avevo il cellulare, di proposito lo avevo lasciato sulla branda, sotto corperta. Il cellulare sarebbe stato una distrazione. Vi trovate a osservare la natura nel suo essere più intimo e che fate? Perdete tempo a cercare di vederla attraverso l'obiettivo di una fotocamera? Gli occhi, il cervello, la mente, hanno la capacità di scattare foto ben più vivaci di qualsiasi altro marchingegno elettronico. Gli spettacoli migliori ai quali ho assistito in vita mia, ce li ho in testa, non sul cellulare o sul computer. Quello che ho vissuto quella notte e quella mattina, è uno spettacolo che rivivrò con un'emozione indescrivibile, con delle sensazioni che nessuna foto potrà mai dare. E moriranno con me, saranno una parte di me esattamente come lo sono ora che scrivo queste parole. Non credo si possa cogliere l'essenza vera della natura se non si è capaci di comprendere che per quanto si possa 'catturare' un istante, che per quanto si possa imprigionare il tempo in una istantanea, quell'istante sarà comunque un istante morto o comunque senza vita.
Come al solito ho divagato, ero partito da A per arrivare a B, ma a B non ci sono mai arrivato. Forse sono in C, o addirittura in D o magari T.
I pensieri non hanno filo logico, non hanno trama, non hanno nessi. E mi sono lasciato trasportare dai pensieri nello scrivere. Ero partito come uno schema, per poi non rispettarlo. Ero partito con uno stato d'animo e mi ritrovo a chiudere con un altro.
Ero partito per l'Australia con delle idee, con delle aspettative, con degli obiettivi...e sono tornato senza nessuno dei tre. Inconcludente, come il discorso di stasera.




domenica 17 maggio 2015

La pace dei sensi...

Apro gli occhi, lentamente. Guardo il soffitto e resto immobile qualche istante. Una leggera brezza dal profumo di salsedine mi avvolge come un lenzuolo: una sensazione di freschezza mi avvolge. Mi rilasso e mi lascio cullare da quella sensazione di quiete paradisiaca. Giro la testa alla mia sinistra, nella direzione da cui proviene la luce. Vedo un balcone, spalancato, con le persiane abbassate in modo che entri l'aria e che la stanza sia in penombra: non c'è buio e non c'è luce. Continuo a rimanere immobile e tiro su lentamente un respiro a pieni polmoni, altrettanto lentamente lascio uscire l'aria. Richiudo gli occhi e inizio a fare questo esercizio di respirazione, ma per il solo gusto di respirare l'aria marina che la brezza mi porta addosso. E' un caldo pomeriggio estivo, saranno le 3 del pomeriggio a giudicare dalla luce. Mi trovo nella stanza di una piccola casetta in riva al mare. Fuori soltanto il suono delle onde che prima si stendono sul bagnasciuga e poi si ritirano. Una sensazione di pace mi avvolge e a poco a poco mi rendo conto che sta per prendermi nuovamente il sonno. Ad un certo punto, la porta della camera si apre pian piano e lei entra con passo lento per non fare rumore. Stringo appena gli occhi per osservarla. La porta aperta lascia passare un soffio di vento più forte che le tende del balcone sembrano prendere improvvisamente vita. Visione magnifica,..rimango immobile ad osservarla. Lei appoggia una mano alla porta e ricambia il mio sguardo. Questo gioco silenzioso lascia spazio ad una complicità inspiegabile. Con modo provocatorio si morde il labbro inferiore e porta una mano fra i capelli, arricciandone una ciocca con l'indice. Improvvisamente, mi rendo conto di non essere più in preda al tepore di prima, mi sento sveglio, sveglissimo. Con incedere lento viene verso i piedi del letto e appoggia un ginocchio sul materasso, di fianco al mio piede. Mi sale addosso gattonando finché il suo viso non si scontra con il mio. E' un attimo...le nostre labbra dapprima si sfiorano, i nostri respiri più intensi. Le mie mani scivolano lungo i suoi fianchi e via via sempre più in basso. Inizio a sudare; le mie mani sulla sua pelle sudata. Un'altra folata di vento ci rinfresca travolgendoci...l'inizio del piacere.

lunedì 23 marzo 2015

Verrà la notte e avrà i tuoi occhi.

...mi mancano le parole per descrivere il mio attuale stato d'animo. Un turbinio di sensazioni "stagionate" si mescolano a situazioni nuove. E' un liquore che sto assaggiando con curiosità, non so se mi farà male o se mi farà andare su di giri...ma quella sera, quella benedettissima sera passavo repentinamente dalla rabbia alla serenità quasi come si accende o si spegne un interruttore.
Eravamo vicini. Lei si stava rinfrescando le labbra con il rossetto. La osservavo durante questo suo rituale, quel movimento deciso ma accurato. Ero incantato. Guardavo le sue labbra e iniziavo a sentirmi svuotare. Con lentezza iniziavo ad alzare, senza rendermene conto, lo sguardo puntando agli occhi. Cercavo il suo sguardo, puntato sul display del telefono che le faceva da specchio. Sono stati attimi così fugaci che però si sono impressi cosi violentemente nella mia testa. Penso che avrei tranquillamente passato il resto della serata a guardarla. Ho pensato per un istante a quella scena del postino in cui Mario (guarda caso!!!) parlando con Neruda gli dice: "Più la guardavo, più mi innamoravo". Non so se per me è stato così in quegli attimi, ero talmente preso dal suo viso che non ho perso tempo a chiedermi cosa fosse quello che sentivo. Avevo quasi il fiatone, benché fossimo seduti, tiravo dei respiri profondi cercando di non farglielo capire. Deve avermi chiesto qualcosa, non so cosa ho risposto, non mi ricordo neanche la domanda, mi ricordo che facevo fatica a respirare normalmente. Lei è una di quelle ragazze che sa di essere bella, che sa fare leva con cognizione di questa sua caratteristica innata. In più è così solare, sempre sorridente e sempre piena di argomenti, quasi mai banali. Anche quando spara cazzate è di una bellezza disarmante, che ti spiazza con facilità. Difficilmente una ragazza riesce a spiazzarmi così facilmente. Con una sola mi succedeva. Continuavo a scrutare ogni movimento del suo volto, ogni smorfia...i pensieri che andavano e venivano. Ad un tratto una scossa mi ha attraversato: volevo baciarla...assaggiare quelle labbra, anche solo sfiorarle. Il fiato sempre più corto...il cuore in gola...avrei voluto che il tempo si fermasse, restare prigioniero di quegli istanti. Mi sentivo come il fumatore in crisi di astinenza che trova un mozzicone e si fa quell'ultimo tiro velocemente ma intensamente. Potrei continuare a parlare, a scrivere di quell'attimo, ancora a lungo, ma credo che si imprimerebbe con ancora più forza quella serie di immagini nella mia mente. 
Ricordo che a quella sensazione iniziava a farsi strada una rabbia crescente. Volevo (voglio) qualcosa che non posso permettermi di avere ora. Devo stare al mio posto...non il mio ego, ma il mio super ego me lo impone. Cercavo un volto da ammirare, degli occhi da scrutare...e credo di averlo trovato. Come sempre mi succede, però, il tempo e la vita mi giocano contro. Anche stasera andrò a letto con il fiatone, anche stanotte dormirò poco. 



martedì 17 febbraio 2015

Quando la mente fa brutti scherzi


Sono sempre stato dell'idea che la mente non faccia altro che nasconderci alcune cose. Sono convinto che, per quanto possiamo credere di avere un pieno controllo di noi stessi (questo per i più fortunati...), in realtà abbiamo almeno due vite concomitanti, che talvolta si sovrappongono creando un corto circuito. Non so quanto la scienza sia avanti in materia di funzioni cerebrali e ancora non sono riuscito a concepire un pensiero chiaro circa il continuo  dualismo mente-cervello. Quello che noto, facendo riferimento alle mie esperienze/percezioni, è che in qualche modo, in alcune circostanze, la nostra mente elabori autonomamente e indipendentemente da noi, alcune immagini attingendo a tutte le informazioni che ci bombardano (e/o che ci hanno bombardato) tessendo connessioni abbastanza strane che rivediamo sia nei sogni, sia in quello che spesso definiamo "déjà vu" (ossia qualcosa di già visto). I meno suscettibili tendono a declassare questi fenomeni come, appunto, corto circuiti che ci danno la sensazione di vedere/vivere cose/esperienze già viste/vissute. Probabilmente molto dipende da quanto noi usiamo, quotidianamente, il nostro cervello per produrre immagini che in realtà non vediamo. Magari le mente più attive, più sognatrici, più fantasiose riescono a creare scenari più ampi di chi è "mentalmente pigro", o magari no, ma sta di certo che a pensarci bene, mi è capitato spesso di chiedermi subito dovo aver fatto un sogno: "ma com'è possibile che abbia sognato quel che ho sognato?" Così cerco tautologicamente di trovare una spiegazione plausibile alla sequenza di immagini e (perché no?) suoni di cui sono talvolta spettatore, talvolta attore protagonista, durante i miei sogni.
Così qualche settimana fa ho sognato di trovarmi in prato verde, completamente solo, vicino ad un albero, non altissimo, ma dalla folta chioma. Premetto di non aver mai visto quel genere di albero. Fatto sta che in questo mio sogno io vedevo qualcosa che sono più che convinto di non aver mai visto in vita mia. Ricordo solo la sensazione di pace avvertita in sogno sedendomi ai piedi di questo albero. Non so quanto questo sogno in realtà sia durato, ma il tempo sembrava abbastanza esteso. A parte questa immagine di serenità, con questo grande albero in mezzo a questo grande prato collinare, all'ombra di un sole di fine primavera tipico di fine mattinata, non c'è stato altro nel mio sogno. Ma lo ricordo ancora vividamente, cosa molto rara visto che in genere ciò che riesco a ricordare perfettamente sono gli incubi che tempestano il mio sonno. E ancora più stranamente, mi sono svegliato rilassato e sereno, come non mai, quasi come fossi rigenerato, "psichicamente" intendo.
La prima cosa che ho fatto non appena ho avuto un po' di tempo libero, è stato fare delle ricerche su internet per cercare di trovare, di capire, di che albero potesse trattarsi, ovviamente osservando una miriade di immagini su google. Improvvisamente, dopo un bel po' di tempo perso a vedere alberi di qualsiasi tipo, mi sono imbattuto in un'immagine molto simile, incredibilmente simile, a quella che mi era rimasta impressa in mente dal mio sogno. Ci clicco su per scoprire di che albero si trattasse. Scopro così che si tratta di un Carpino bianco. "Ora posso fare delle ricerche più mirate per capire come la mia mente abbia mai potuto vederlo ed, eventualmente, dove" - mi dico.
Mai visto. Questo albero non l'ho mai visto. Allora continuo a documentarmi, finché mi imbatto nella simbologia in generale, per sbaglio. Tagliando corto, scopro che nella mitologia celtica il caprino viene associato a quelli nati dal 4 al 13 giugno (e dal 2 all'11 dicembre). In pratica, il mio giorno di nascita ricade nel primo intervallo.

Ora, tralasciando la descrizione che veniva fatta in questo articolo relativo al carpino nella mitologia/astrologia celtica, so solo che dal punto di vista caratteriale mi rispecchiava nel 90% delle cose che diceva.

La cosa che più mi sta facendo riflettere è : perché? Com'è possibile una cosa del genere? Non sono un credulone, tendo ad essere abbastanza scettico su certe cose, ma questa (così come tante altre recentemente), non riesco a spiegarmela. Ultimamente sono particolarmente suscettibile e nervoso per diversi motivi, sto trovando difficile riuscire a rasserenarmi, anche solo 10 minuti. Ma sogno il mio albero, vivo in sogno una situazione di pace estrema, indisturbata...io nel sogno da solo, fuori dal mondo (da quale mondo?). Io dov'ero realmente quando dormivo? Nel mio sogno o nel mio letto? Se quella stessa sensazione di serenità (che mi mancava da tempo) è stata trasmessa dal sogno, mentre dormivo, alla realtà, dopo sveglio. Non l'ho capito ancora. So solo che la sensazione è stata molto piacevole e mi ha rigenerato.

Ora so che il mio albero è il Carpino Bianco e per ora va bene così.

"Gli alberi non tradiscono, non odiano, irradiano solo felicità e amore. Ecco perché l’uomo stando vicino agli alberi, avverte una corrente positiva e rigeneratrice."
(Romano Battaglia)

venerdì 14 novembre 2014

Ti ho rivista l'altra notte...

...Ogni sera non vedeva l'ora di andare a dormire e non perché fosse stanco o assonnato, ma per piacere (o masochismo, dipende dai punti di vista). Quello era il momento migliore della sua giornata: più questa era stata faticosa e pesante, più si sentiva soddisfatto e contento, perché sapeva che avrebbe dormito più profondamente. Così il momento in cui spegneva la luce, diventava il momento della pace, la pace con se stesso. Addormentandosi abbandonava le vicissitudini della vita reale per addentrarsi nel suo vero mondo: quello dei sogni. Forse quello era l'unico mondo che più gli calzava, quello nel quale si sentiva a suo agio, protetto e sicuro. Lì, era sempre solito girare posti nuovi, creare posti nuovi. Non sapeva mai dove  potesse trovarsi e ciò gli piaceva. Spesso vedeva gente che non riconosceva, ogni tanto beccava qualche amico, parente, conoscente, rivedeva persone che non c'erano più, ci scambiava quattro chiacchiere, parlava del più e del meno, soprattutto ascoltava quello che dicevano. Come spesso accade nei sogni,  non sapeva mai come arrivava in certi posti, il viaggio non era una variabile contemplata e il tempo era un optional e ogni legge fisica completamente stravolta. Ma c'era un luogo ricorrente, in cui si trovava catapultato spesso: la sua splendida isola deserta. Non riusciva mai a capire, perché un'isola deserta, né tanto meno perché ci si trovasse sempre di notte. Era il suo nascondiglio. Le sue lunghe passeggiate silenziose sul bagnasciuga, con il mare che gli bagnava appena appena i piedi. Una grande luna che sembrava poggiarsi su quello specchio d'acqua, come un piatto su una mensola. Il verso di qualche gabbiano che si sovrapponeva al rumore delle onde. Ed era lì, ancora una volta, a passo incerto con le mani nelle tasche dei pantaloni, dei jeans tirati su a pinocchietto sopra i piedi per non bagnarli, la camicia di seta bianca fuori dai pantaloni, la testa bassa. Quella sera non si sentiva a suo agio lì, era un po' agitato e non capiva perché. In qualche modo sentiva che la quiete di quel posto era stata violata, ma non riusciva a spiegarselo bene. Ad un tratto, alzando la testa, vide un'ombra in lontananza. Per un attimo rallentò, ma riprese subito il suo cammino con passo più deciso, andando incontro alla figura che da lontano sembrava proseguire nella sua direzione. No disse nulla, le mani sempre in tasca. Mentre si avvicinava un turbinio di sensazioni diverse iniziava ad avvolgerlo, l'agitazione aumentava. Quanto più quell'ombra si avvicinava, tanto più riusciva a scorgerne le sembianze. D'un tratto arrestò il passo e si tolse le mani dalle tasche. La figura che aveva d'avanti continuava ad avvicinarsi senza esitare; la luce, il riflesso della luna, pian piano iniziarono a svelarne le sembianze. Lui rimase pietrificato, capi immediatamente di chi si trattava, ma rimase immobile. L'aria di chi si chiede "cosa accadrà ora?". D'un tratto anche l'altra figura si arrestò e rimase immobile. Lui iniziò a sentire un po' di freddo, non si era accorto che si era sollevata una leggera brezza. Era sicuro di due cose in quel momento. Quella d'avanti a se era una donna e la riconobbe immediatamente, ma non osò parlare, non ce la faceva. Continuava a ripetere fra se e se: "cosa le dico?", "Cosa ci fa lei qui?", "E ora?", "Coraggio, dille qualcosa!", "Cosa devo fare ora?", "No aspetto che sia lei a parlare per prima"... Iniziò a sudare, le gambe paralizzate. Non capiva se quella fosse una situazione positiva o negativa. In poche parole, si sentiva un ebete. Ad un tratto lei interruppe quel silenzio imbarazzante.
"Guarda che non ti mordo" disse. Una voce dolce e calda. Sentì un sussulto al cuore, un nodo in gola. Non riusciva a spiegarsi perché mai si sentisse in quel modo, inerme, incapace di reagire. Lei, che pure aveva le mani in tasca, riprese ad andargli incontro. Anche il suo volto iniziò a rivelarsi, finché lei non arrivò a circa un metro da lui. La situazione andava peggiorando col passare dei secondi, anche il respirò era diventato un problema. Il corpo sembrava non rispondere; abbassò lentamente la testa, quasi a capire se avesse ancora sensibilità nelle mani, quanto meno per muovere le dita. Il nodo in gola sempre più grande. Ormai non riusciva neanche più a rivolgersi a se stesso, neanche una domanda, si sentiva improvvisamente vuoto. Se non fosse stato per l'iniziativa di lei, sarebbe stato capace di rimanere immobile ancora per un bel po'. Ma lei fece altri due brevi passi finché non gli si avvicinò fin sotto la testa. Sollevò una mano verso il viso di lui e lo accarezzò. Un brivido lo percorse dalla testa ai piedi e dai piedi di nuovo alla testa. Improvvisamente riprese il comando del suo corpo e portò la sua mano su quella di lei che gli carezzava il viso. Capì che il motivo per cui era rimasto pietrificato prima, era la paura che tutta quella situazione non fosse reale. Iniziò a riacquistare sicurezza con il passare di quegli attimi interminabili. Così strinse forte la mano che lo accarezzava e una sensazione di sollievo iniziò a scaldarlo.
"Cos'hai amore?" - gli disse lei - "Sono io, sta tranquillo, non ti faccio nulla".
"Tu non puoi capire..." - rispose lui. "
"Lo capisco invece, ma ora devi stare tranquillo" - ribatté lei, con la voce che piano piano si fece più incerta.
Lui alzò la testa cercando immediatamente di incrociare il suo sguardo. Se c'era una cosa di lei che non riusciva a dimenticare, erano i suoi grandi occhi neri da cerbiatto. Da quegli occhi iniziò a farsi strada una lacrimuccia. Immediatamente lui la avvolse tra le sua braccia. Lei poggiò la sua testa sul petto di lui e iniziò a piangere: "Mi sei mancato da morire amore, ti prego, stringimi, non mi lasciare".
"Tranquilla tesoro, non lo farò". E poggiò delicatamente la sua testa contro quella di lei.
Fu un abbraccio intenso. Lui cercava di assaporare quel momento fino in fondo, la paura che quell'insieme infinito di attimi non si rivelasse alla fine come un istante effimero che lo buttasse di nuovo nell'abisso da cui veniva. D'un tratto si sentì vuoto dentro, ma in modo diverso da come si era sentito prima, d'un tratto si trovò coricato sul letto abbracciato al cuscino. I pochi istanti dopo il risveglio, furono una sofferenza incredibile. Immobile, paralizzato dalla fase post rem che gli impediva i primi movimenti da sveglio. La mente lucida, così come gli occhi. Il cuscino umido dov'era poggiata la guancia. Le mani in faccia non appena ripreso il controllo, solo che ora era sveglio.
Ho paura ad aprire la luce, meglio restare al buio, non voglio vedere cosa mi circonda, sono rimasto su quell'isola, io è lì che voglio tornare.

"La notte ci piace perché, come il ricordo, sopprime i particolari oziosi." (Jorge Luis Borges)

giovedì 8 maggio 2014

Sogni (sempre) ricorrenti

Sono seduto su una poltrona e leggo un libro. Tenendo la testa bassa guardo il caminetto. La fiamma si sta affievolendo. Prendo il segnalibro sul tavolino mentre finisco di leggere le ultime righe del capitolo che ho da poco iniziato. Volto la pagina e leggo il titolo del capitolo successivo, dopo di che, metto il foglietto nel libro e lo chiudo. Lo poggio delicatamente sul tavolino alla mia sinistra. Poi vedo che c’è un bicchiere, di quello da liquori: c’è ancora un po’ di grappa. La bevo guardando il fuoco che pian piano sta morendo. Rimetto il bicchiere sul tavolo e mi avvicino lentamente al caminetto. Apro la porticina al suo fianco e prendo un tronco, ma mentre sto per metterlo sul fuoco ci ripenso: “tra non molto andrò a letto, non mi serve il fuoco vivo, devo solo mantenerlo per un po’” mi dico. Così metto a posto il tronco per prendere altri legnetti più piccoli. Li metto nel fuoco e pian piano muovo la brace perché prendano fuoco anch’essi. Finalmente il fuoco si riprende ma rimango fermo un altro po’ a fissarlo, rimanendo immobile. Mi rendo conto che non sto pensando a niente; l’unica cosa che attira la mia attenzione è il rumore della legna che arde e quello della pioggia che si infrange contro il vetro della finestra. Così mi alzo lentamente e guardo fuori. Una pioggia incessante sembra voglia spazzare via tutto, ma io sono tranquillo perché sono a casa mia, con il mio bel focolare. Mi avvicino alla finestra, scosto la tenda e osservo il giardino. Immagino già quei giorni di fine primavera quando la temperatura calda già preannuncia l’arrivo dell’estate. Così immagino quel giardino, che ora è tutto fango, pieno di erba verde. Chiudo per un attimo gli occhi, e ne sento il profumo; vedo il cane che corre felice sul prato, vedo la mia amaca dondolata dal vento, tra il ciliegio e il pesco. Quell’immagine è fervida nella mia mente, è l’unico pensiero che mi sta girando in testa in questo momento.
Riapro gli occhi, mi volto nuovamente verso il caminetto e lentamente inizio ad osservare l’ambiente in cui mi trovo. Il pavimento è in legno e nella parte vicino al focolare c’è un grande tappeto, di cui non riesco bene a vederne la fantasia. La luce fioca del fuoco mi consente di vedere la stanza in modo sfuocato, ma sono in grado di vedere il tavolo rotondo che sta in fondo alla stanza, e alle sue spalle una credenza, a semicerchio. L’arredamento ricorda un po’ quello delle vecchie case di montagna. Le pareti sono di pietra. La stanza non è grande, ma accogliente, dà un senso di tranquillità. Un divano che sembra essere comodo e anch’esso a semicerchio termina il quadro di questo arredamento, di fronte al focolare. Mi giro un altro po’ e vedo una scala che porta al piano di sopra, anch’essa con scalini e passamano di legno. Dove la scala inizia, vedo una porta aperta, che dà in un’altra stanza. Non riesco a vedere bene, da dove mi trovo ora, cosa c’è, ma penso ci sia la cucina, perché sento odore, che mi sembra essere di torta al cioccolato, venire da quella direzione. Mi riavvicino alla poltrona dov’ero seduto prima e penso: “mi sa che rimarrò qui ancora qualche minuto prima di andare a letto”. Quell’atmosfera mi rende tranquillo. Mi sento sereno, senza pensieri. Mi siedo lasciando andare la testa all’indietro finché non la poggio contro la parte alta della poltrona. Chiudo gli occhi e tiro un respiro profondo. Li riapro, e fisso nuovamente il fuoco del caminetto. Vedo una coperta sul divano affianco: “quasi quasi mi metto a dormire qui, non mi va di andare di sopra, non c’ho voglia”. Così mi alzo e vado verso il divano, ma proprio quando mi sto per sdraiare sento dei passi scendere le scale. “Aspetta, Mario” dico, “chi è?” a metà tra il rincoglionito e il sorpreso. Quando la vedo scendere le scale resto immobile. Non la vedo bene in viso, ma realizzo di chi si tratta, riesco a riconoscerla dai capelli lunghi e ricci e dal buffo pigiama di pile che indossa. Ha due pinguini che si abbracciano. Mi dice “amore, sei ancora sveglio? Perché non vieni a letto?”
Resto fermo ancora qualche attimo a guardarla. Pochi attimi che sembrano durare un’eternità. La osservo e mentre lo faccio mi sento strano. Una strana sensazione mi attraversa il corpo, una sensazione che non so descrivere. Torno via dai miei pensieri e dalle mie riflessioni e rispondo: “hai ragione tesoro, ma ancora non ho sonno”. Lei mi guarda con aria corrucciata, la cosa le suona strana. “Vieni qui vicino a me” le dico, “stiamo un altro po’ e poi andiamo a dormire”. Lei, con un broncio da bambina, più scherzoso che seccato, mi risponde “va bene, però solo un po’ e poi torniamo a dormire di sopra”. La tranquillizzo mentre viene a sedersi accanto a me. Ci stringiamo nella coperta e lei poggia la testa sulla mia spalla. Poi nuovamente la scosta e mi guarda: “Ti voglio bene” mi dice e mi accarezza dolcemente il viso.
Una sensazione come di una scossa elettrica mi attraversa il corpo, violenta. Apro gli occhi all’improvviso. “Dove sono?” mi chiedo. C’è buio intorno a me e mi ci vuole qualche attimo per realizzare che sono nell’oscurità più totale, che non c’è un caminetto con un fuoco morente di fronte a me, che non sono né sul divano, né sulla poltrona, che fuori piove ma non c’è nessun giardino con nessun cane che corre felice sul prato e nessuna amaca tra un ciliegio ed un pesco. “Era solo un sogno”, mi dico. “Ancora questo fottutissimo sogno.  Com’è possibile che periodicamente faccio lo stesso, identico sogno? ”
Mi giro sull’altro lato per rimettermi a dormire e mi addormento. Un misto di serenità e disperazione però mi avvolge, non riesco bene a comprendere cosa sto provando. L’unica cosa che so, è che mi riaddormento con la sensazione che qualcuno mi ha appena accarezzato dolcemente il viso.


"Gran parte dei nostri sogni li viviamo con assai maggiore intensità della nostra esistenza da svegli." (Hermann Hesse)

martedì 29 aprile 2014

Chi sono?

Quando decidi di iniziare a scrivere non sai mai come iniziare: perdi un sacco di tempo per trovare un titolo che faccia un certo effetto e non riesci a trovare qualcosa che ti garba. Ad un certo punto, visto che la pagina è ancora bianca e non hai scritto una beneamata, capisci che è meglio iniziare a buttar giù qualche riga, magari poi l'ispirazione ti viene (d'altronde il titolo è quasi sempre l'ultima cosa che si scrive, si tratti di un saggio, un articolo, un romanzo, ecc..). E' da molto tempo che non faccio "bloggheria" (concedetemi il neologismo, in onore della "gheggheria" del maestro Maccio Capatonda) e a dire il vero mi manca. Esistevano un tempo i blog di msn, quelli usati dagli adolescenti come un "caro diario" nell'era del digitale. Non voglio che questo spazio diventi un modo per raccontare le mie giornate, perché a nessuno importa né deve importare se ho problemi e (in caso) quali. La mia idea, però, è quella di un blog trasversale tra pensieri e/o riflessioni (politiche, civili, sentimentali), passioni, esperienze e...(perché no?) anche qualche confessione. Lo farò per me, per rileggermi, per rivedermi in qualcosa, anche perché credo che non ci saranno dei lettori e qualora qualche mal capitato dovesse atterrare qua dentro spero che non vada via a gambe levate. Sto pensando a questo blog come ad un campo di allenamento, per un progetto che prima o poi dovrò iniziare a tirar su. Riprendo un'idea lasciata in cantiere qualche anno fa, quando ho deciso di sopprimere ogni mia velleità letteraria ( per carità, forse è meglio così, ma parto dal presupposto che peggio di Fabio Volo non potrò mai essere, scusate la modestia).
Ho in mente un labirinto, devo solo capire come strutturarlo: uno o più centri? classico o moderno? Serve a proteggere qualcosa dall'esterno o a proteggere l'esterno da qualcosa? Deve essere una prigione o un rifugio? Quali le vie da percorrere? "Andando vedendo..."

Ho deciso di fare questo viaggio (forse anche introspettivo) con il nome di un personaggio della mitologia greca nel quale mi ritrovo molto, tale Aiace Telamonio. Ho personalizzato il nome utilizzando la "j" al posto della "i", per cui non scriverò "Aiace", bensì "Ajace". Da sempre ho avuto una particolare predilezione per questo personaggio perché anche se ha avuto un ruolo importante nelle vicende narrate da Omero, è sempre passato in sordina, a vantaggio ovviamente di eroi indiscussi come Achille, Ettore ed Ulisse. Mi ritrovo in Ajace perché era un guerriero determinato e testardo, l'unico forse che mai ha ricevuto aiuti divini in battaglia e che non possedeva particolari poteri, se non quello di poter contare solo su se stesso. Magari non era particolarmente furbo, come i suoi compagni, ma sicuramente uno dei più valorosi. Morto suicida per la convinzione di aver perduto l'onore in un atto di pura follia, ho sempre visto in Ajace una persona decisa, combattiva e coraggiosa, ma orgogliosa. Le lodi agli altri, lui era uno che si dava da fare e basta ed è per questo che ne ho fatto il mio personaggio preferito. 

Come post di presentazione non è proprio il massimo, ma da qualche parte devo pur partire. Concludo il mio esordio con una citazione che riassume un po' il guazzabuglio che ho appena scritto:

"Ciò che è fuori di te è una proiezione di ciò che è dentro di te, e ciò che è dentro di te è una proiezione del mondo esterno. Perciò spesso, quando ti addentri nel labirinto che sta fuori di te, finisci col penetrare anche nel tuo labirinto interiore." (Haruki Murakami)